Osservo una doppia personalità in Pavesi: il pittore e lo scultore. Il pittore sembra non potere esprimersi in rapporto alla figura umana, quindi è un pittore astratto con un grande e vivo senso del colore. Lo scultore, nella maggiore difficoltà che porta con la scultura, non riesce, viceversa, a distaccarsi dalle forme della natura, prevalentemente dell’uomo ma anche degli animali. È un caso interessante da risolvere: una schizofrenia creativa per cui, nella scultura, la forma sembra dover passare per forza per i corpi. È una scelta che fa pensare perché, alla fine, non si tratta di un realismo immediato, si tratta di un realismo che punta a sintesi che sembrano astratte. Alcune di queste sculture potrebbero essere anch’esse astratte ma hanno una radice che richiama il corpo, una schiena, una testa, una coscia, mentre negli animali mostra di aver guardato un autore che aveva lo stesso problema di una divaricazione fra realtà e astrazione forse il più grande scultore del secondo Novecento che è Marino Marini. Probabilmente l’attrazione per questo grande scultore ha determinato questa sensibilità per la scultura. Da un lato abbiamo questo riferimento e il tentativo di continuare, con variazioni e con nuove interpretazioni, la grande lezione di energia, di vitalità, di forza che esprime la scultura di Marino Marini; dall’altra parte una dimensione più contemplativa e lirica, di pura esaltazione del colore nelle tele. Mi pare che, nel confronto fra la scultura e la pittura l’impressione di due teste diverse, di due uomini diversi, potrebbe essere Pavesi stesso a spiegarcelo. Io ne prendo atto sul piano critico, e vedo queste due alternative, la scelta della scultura come vocazione primaria e alla fine la riflessione sulla pittura. Un tema attuale anche nel ‘500: il dialogo, il confronto, e il primato della scultura sulla pittura.
Vittorio Sgarbi, 2010
Video trascrizione della presentazione a Palazzo Detraz di Salsomaggiore Terme, il 24 ottobre 2010